Fido non è più qui. Dolore e lutto per la perdita di un animale da compagnia

Mi chiamo Stefania Venturini e amo gli Anima-li, in particolare i cani. Sono una psicologa e psico tanatologa, lavorativamente parlando mi occupo, in particolare, di accompagnamento alla morte, elaborazione del lutto e di progetti di educazione alla morte per adulti e ragazzi.

La mia famiglia è composta da me, mio marito Davide, Pedro, Harley, Lisa e Remy (cani), Biagio e Nespola (gatti), Sebastian Barone, Rudy, Febe, Camilla (caprette tibetane), e Gastone (montone). Abitiamo in un maso a 1100 metri e questo mi permette di essere sempre a contatto con la natura, il bosco ed i suoi abitanti.

L’idea del libro “Fido non è più qui. Dolore e lutto per la perdita di un animale domestico” nasce circa dieci anni fa quando mi sono trovata a dover affrontare la devastazione emotiva della malattia incurabile di Birillo, il mio compagno di vita peloso di allora. A quel tempo frequentavo un Master universitario sulla morte e il morire e al suo interno mi è stata offerta la preziosa possibilità di elaborare il mio lutto anticipatorio in un contesto non giudicante e per questo capace di accogliere realmente il mio dolore. Per molti anni questo libro è rimasto un sogno nel cassetto, mi bloccava la convinzione di non essere in grado di scrivere un libro. La spinta decisiva a superare i miei timori trasformando in parola non solo le conoscenze ma, soprattutto, i miei pensieri, le convinzioni e le emozioni è stata la necessità di trovare un modo per aiutare una cara volontaria, Veronica Passariello, nella costruzione di un rifugio per le più di 100 anime che ora accoglie e accudisce in un fatiscente recinto minacciato da una frana. Parte del ricavato delle vendite è quindi destinato alla costruzione della “Casa di Mabello” a Cervinara (AV).

Rispetto al libro una precisazione mi sembra doverosa: fido è una parola generica per indicare qualsiasi specie di Anima-le con il quale l’uomo instaura un profondo e autentico legame affettivo. Fido è quindi un cane, un gatto, un pappagallo, un furetto, un pesce, una capra, ecc.

Con questo libro mi sono posta alcuni obiettivi che spero di raggiungere. Vorrei fosse un personale contributo alla necessità di riconoscere socialmente l’autenticità del dolore per la morte di fido affinché i luttuanti non si sentano, troppo spesso purtroppo, derisi o sviliti nella loro sofferenza. Perdere un componente peloso della propria famiglia genera un lutto che per intensità, fasi ed emozioni è del tutto simile al lutto sperimentato nella morte di una persona cara. In molti casi l’unicità del legame che unisce uomo e fido determina un’esperienza luttuosa molto più forte rispetto a quella generata dalla morte di un affetto umano.

Quando il legame di attaccamento a fido è forte e profondo la sua morte può condurre la persona nella disperazione e l’impatto del dolore potrebbe avere effetti dirompenti sulla vita del dolente. Il lutto si configura come una situazione di crisi la cui entità è intimamente connessa al valore che la persona attribuisce alla relazione stessa, indipendentemente dall’appartenenza specie-specifica del defunto. Il fulcro della perdita è quindi l’aspetto relazionale sottolineando così che la sofferenza è la conseguenza di una perdita “soggettivamente significativa” e non “oggettivamente importante”.

Il libro vuole anche essere uno strumento per indurre, nel lettore che lo voglia, una riflessione rispetto alla morte, al perdere, al lasciare andare. Il libro si rivolge a tutti coloro che desiderano saperne di più rispetto a questo vissuto di sofferenza in particolare ai luttuanti, alle persone che sentano la necessità di prepararsi consapevolmente alla morte del loro fido, ma anche alle persone che vivendo accanto ai dolenti, affinché possano riflettere sul fatto che il dolore espresso è autentico, profondo e merita assoluto rispetto.

Un capitolo del libro analizza il ruolo dei veterinari nel processo di lutto dei loro clienti in quanto essi rappresentano la figura professionale con la quale tutti i dolenti entrano in contatto, per questo molto possono fare affinché le persone possano iniziare il loro viaggio nel dolore del lutto.

Nel libro trovano ampio spazio racconti di esperienze luttuose al fine di trasmettere il messaggio che, di fronte alla morte di fido, la sofferenza non è mai eccessiva, sproporzionata e inadeguata perché il travaglio emotivo che io sto vivendo lo vivono anche altre persone.

Il motivo che trasforma la morte di fido in un’autentica esperienza luttuosa risiede nella natura del legame che si instaura tra uomo e fido. La relazione di questa diade è infatti molto complessa e articolata sul piano psicologico dell’individuo. In questa relazione entrano contemporaneamente e reciprocamente in gioco l’uomo, con le sue personali dinamiche psico emotive e i retaggi culturali, e fido, con le sue competenze, le capacità cognitive, emotive e intellettive. Uomo e fido formano una coppia all’interno della quale avviene un autentico scambio affettivo che, seppur asimmetrico per le attuali conoscenze è reciproco e biunivoco. Questa reciprocità è resa possibile perché fido è dotato di un cervello emotivo simile a quello dell’uomo, inoltre, è in grado di attivare operazioni cognitive ed emotive molto complesse ed è un essere sociale che vive in branco.

Dal mondo scientifico e dalla quotidianità delle persone che condividono la vita con fido arrivano testimonianze che gli Anima-li sono dotati di un anima e di un mondo interiore fatto di emozioni, pensieri, memoria, coscienza di sé e del mondo circostante, il problema è che siamo ancora lontani culturalmente e socialmente dal fare nostra questa realtà a causa anche del pensiero antropocentrico dell’uomo civilizzato.

L’incapacità della nostra cultura di accettare la finitezza della vita umana impedisce quella necessaria riflessione sulla morte e sul morire che rende l’uomo totalmente impreparato ad affrontare in modo costruttivo le ultime fasi della vita, l’immediato post mortem e lo stesso processo del lutto. Questa negazione difensiva si riscontra rispetto a tutti i nostri affetti, fido compreso.

Anche nel dolore più devastante e paralizzante che consegue la morte di fido, se non abbiamo già preso decisioni per il dopo, ora non possiamo più rinviare. Per chi ancora non lo sapesse la legge italiana considera il cadavere di fido un rifiuto speciale appartenente alla categoria 1. Il corpo di quell’essere unico che tanto amiamo è paragonato, nel momento della morte, ai rifiuti alimentari provenienti da mezzi di trasporto che effettuano tragitti internazionali, oppure ai corpi di animali selvatici che si sospetta siano affetti da malattie trasmissibili. Se il corpo di fido viene lasciato nello studio veterinario senza nostre precise indicazioni verrà inviato presso appositi centri di smaltimento e trasformazione dove sarà smembrato e riutilizzato. I grassi trasformati in combustibile industriale per cementi e asfalti, la parte organica liofilizzata e trasformata in concime, le ossa bruciate e riutilizzate prevalentemente nella preparazione di mangimi per animali. Per chi ama fido e lo considera un membro della famiglia, una parte di sé, pensare che il corpo venga trasformato in olio, asfalto, concime, cibo è aberrante e insostenibile. Raccogliere tutte le informazioni necessarie riguardanti le scelte del post mortem evita la sofferenza psicologica, che potrebbe generarsi dalla consapevolezza postuma di aver agito in modo errato per mancanza di conoscenze.

Il lavoro da fare nella direzione di riconoscimento sociale del lutto per la morte di fido è ancora lungo e deve passare anche attraverso l’impegno personale del luttuante. Non ci può essere riconoscimento della collettività se chi per primo vive, o ha vissuto, questa dolorosa perdita relegando il proprio dolore nell’angolo buoi dell’invisibilità. Iniziamo noi portando fuori il nostro dolore, senza vergogna o paura di essere giudicati e se non possiamo pretendere la comprensione dell’altro, sosteniamo con forza il diritto di vedere rispettato il nostro sentire.

Il terreno nel quale piantare i semi di una cultura etica del riconoscimento del forte legame affettivo uomo-fido, del rispetto della sofferenza e del lutto per la sua morte deve essere preparato fin dall’infanzia anche attraverso progetti di death education mirati ed adeguati. Un processo formativo che se non avviene in famiglia dovrebbe essere svolto e sostenuto a livello sociale e politico. Una cultura del rispetto della vita e della morte, indipendentemente dalla specie, deve essere la base di una società che voglia definirsi civile.

Edito dalla Dott.ssa Stefania Venturini

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